VENDETTA DEL DIO MOLOCH SU MOTHIA
Mozia, l’isolotto all’interno della riserva naturale dello Stagnone di Marsala, fu un’antica colonia fenicia
fondata nell’VIII sec. a.C.
Costituisce una delle quattro isole della laguna dello Stagnone.
Nel periodo alto medievale per la presenza dei monaci basiliani trasferitisi sull’isola, le venne dato il nome di Isola di San Pantaleo.
Il nome di Mozia, le fu probabilmente dato dagli stessi Fenici, Motya, infatti, significa landa e tale nome sarebbe, perciò, collegato alla presenza di impianti e stabilimenti per la lavorazione di questa particolare lana.
Da quanto si può già evincere da questi pochi dati, l’isola di Mozia, come la maggior parte delle colonie fenicie, era una stazione commerciale presso cui le navi fenice approdavano, per poi salpare cariche e seguire le antiche rotte commerciali del Mediterraneo.
Ben presto, già nell’VIII sec. iniziò la colonizzazione greca della Sicilia, che riguardava soprattutto la parte orientale dell’Isola, i Fenici ripiegarono di conseguenza sulla parte occidentale, Motya divenne perciò sempre più importante, ad assurgere al rango di baluardo della presenza fenicia nel Mediterraneo.
Nel VI sec. i contrasti tra Greci e Cartaginesi per il predominio sulla Sicilia si acuirono e Mozia venne inevitabilmente coinvolta, a sua difesa l’isola venne cinta dai fenici con solide mura, che insieme all’intrico dei bassi e stretti canali difficilmente navigabili se non dagli stessi fenici, costituivano un’efficace deterrente.
Fino a quando nel 397 Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa, assediò la città ponendo fine alla sua stessa esistenza.
Gli abitanti sopravvissuti si rifugiano allora sulla terraferma nella colonia di Lilybeo, l’odierna città di Marsala.
La società fenicia, proveniente dalle coste nordafricane, è stata il risultato di una congerie di complessi fattori culturali, politici e commerciali, con una forte impronta identitaria sviluppatasi nel corso dei secoli.
In questo senso, anche la religione e le pratiche cultuali fenice non erano meno complesse ed arcaiche, infatti, proprio a Mozia venivano praticati dei sacrifici rituali ad antiche divinità pagane, come quello di sette giovenche grasse e bianche.
Spesso questi riti sacri giungevano nel loro climax al sacrificio umano, così presso i fenici vi era la terrificante usanza per cui il re doveva sacrificare la figlia primogenita al cospetto del feroce dio Moloch.
A questo proposito vi è un’antica leggenda giunta sino a noi, che ha per protagonisti principali un re fenicio di nome Sharib e la sua regina, il figlio Someiro e la figlia primogenita di nome Amina, la quale era la vittima sacri cale prede stinata.
Il re Sharib al compimento del settimo anno di vita di Amina, dovendosi preparare al suo sacrificio, organizzò una grande festa, con abbondanti e ricche vivande, giochi, danze e musiche celebrative.
Tutto era pronto per il triste evento, i presenti attendevano soltanto che il sacerdote Atim ricevesse un segno dall’astro lunare per procedere al sacrificio di Amina, allora lo stregone scrutando la Luna proclamò che il momento propizio sarebbe giunto il giorno successivo, così l’indomani mattina andò per prendere la fanciulla nel suo alloggio, ma di lei non v’era più traccia.
Subito il terrore corse tra le menti dei moziesi, poiché senza il sacrificio di Amina nessuno avrebbe potuto placare prima l’ira di Moloch e poi la sua terribile vendetta.
Dopo lunghe ed approfondite ricerche nulla si seppe più di Amina, passati molti anni morirono sia il re Sharib che lo stregone Atim, ma nonostante gli anni ancora era vivo il ricordo della piccola Amina.
Fino a che dei cacciatori increduli iniziarono ad avvistare nel bosco una figura femminile dai lunghissimi capelli corvini, ma come per un incantesimo tutti quelli che provavano a catturarla ogni volta di colpo perdevano la vista.
La leggenda narra poi che un giorno il giovane re Someiro, figlio del defunto sharib, durante una battuta di caccia, vide la fanciulla dai capelli corvini cavalcare un cervo, così decise di scoccare una freccia che colpì la fanciulla, la quale cadde svenuta.
Someiro allora la prese e la condusse alla reggia dove venne curata, un giorno l’anziana regina, madre di Someiro e vedova del re Sharib, andò a trovare il figlio e fu colta da profondo stupore nel notare l’incredibile somiglianza tra la fanciulla dai lunghi capelli corvini e la sua stessa figura da bambina.
Intanto, Someiro, perdutamente innamorato della misteriosa fanciulla, decise di sposarla, ma alla notizia del matrimonio l’anziana regina ebbe una visione che le rivelò che la fanciulla che tanto le somigliava e che ora era divenuta la sposa del glio era in realtà Amina, sua glia, sfuggita molti anni prima all’infausto destino sacri cale, così, nello stesso istante, l’anziana regina morì per il dolore.
Ma la sciagura che incombeva come una spada di Damocle sulla famiglia reale non era ancora compiuta, infatti, dal matrimonio e dall’ unione degli ignari fratello e sorella, nacque non un bambino, ma un serpente.
Alla vista di quella creatura mostruosa, frutto dell’incesto, il re Someiro decise di uccidere la sua sposa e sorella, Amina, accusandola di essere una strega, poi in preda ad un irrefrenabile rimorso si tolse la vita.
Solo così la vendetta del famigerato dio Moloch per il mancato sacrificio di Amina poteva dirsi finalmente compiuta.
fonte: Michele Di Marco