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Le lavandaie della notte

immagine di: Alyson Boudreaux

I BRETONI SONO FIGLI del peccato, come tutti, ma amano i loro morti; hanno pietà di quelli che bruciano nelle fiamme del purgatorio e cercano di riscattarli dal fuoco purificatore. Ogni domenica dopo la messa pregano per le loro anime, là sulla terra dove imputridiscono i loro poveri corpi.

E’ soprattutto nel mese nero2 che fanno il loro dovere di cristiani. Quando arriva la messaggera dell’inverno3 ognuno pensa a quelli che si sono presentati alla giustizia di Dio: fanno dire delle messe all’altare dei morti, gli accendono candele, li raccomandano ai santi migliori, vanno coi bambini per mano sulle loro pietre tombali; e dopo i vespri il curato esce dalla chiesa per benedirne le fosse. Quella è appunto la notte in cui Cristo dà loro qualche sollievo e gli permette di tornare a visitare i focolari dove hanno vissuto. Allora i morti sono così numerosi nelle case dei vivi come le foglie ingiallite sui sentieri del bosco. Ecco perché i veri cristiani lasciano la tovaglia sulla tavola e il fuoco acceso, perché essi possano mangiare la loro cena e scaldarsi le membra intirizzite al freddo dei cimiteri. Ma se ci sono dei sinceri adoratori della Vergine e di suo Figlio, ci sono anche dei figli dell’angelo nero4 che di-menticano proprio quelli che una volta erano più vicini al loro cuore. Wilherm Postik era uno di questi. Suo padre aveva abbandonato questo mondo senza aver ricevuto l’assoluzione e, come dice il proverbio, “Kadiou è sempre figlio di suo padre”.5 E così si era occupato soltanto di piaceri proibiti, ballava durante il divino uffizio del rosario, quando poteva, e trincava durante la messa con i gardinn6 mercanti di cavalli. Tuttavia Dio non aveva mancato di mandargli degli avvertimenti. Aveva visto morire nello stesso anno, colpite dalla mala aria,7 la madre, le sorelle e la moglie; ma si era consolato della scomparsa delle prime godendosi la loro eredità, e quanto a Katel, aveva detto come tutti i vedovi:

Poiché non ne ho più una tutta mia, ho a mia disposizione tutte le altre.

E così aveva fatto.

Il curato l’aveva ben ammonito durante la predica accusandolo di essere la pietra dello scandalo per tutta la parrocchia; ma questo pubblico ammonimento, ben lungi dal correggere Wilherm, aveva avuto solo il risultato di farlo rinunciare alla chiesa, come era facile prevedere, perché non si fa tornare un cavallo scappato facendo fischiare la frusta:9 e così il giovanotto si dava bel tempo più che mai, senza aver più fede o legge di una volpe della boscaglia. Ora avvenne che i bei giorni estivi volsero alla fine e arrivò la festa dei morti. Tutti i cristiani battezzati misero i loro abiti da lutto e si recarono in chiesa a pregare per i defunti; e Wilherm invece si mise gli abiti della festa e prese la via del borgo vicino, dove si riunivano marinai senza religione e ragazze senza onore.

In questo luogo malfamato passò tutto il tempo che gli altri dedicavano a pregare per le anime in pena, bevendo vino di fuoco, giocando ai dadi coi marinai e cantando alle ragazze delle canzoncine composte dai mugnai. Continuò così fin circa la metà della notte, e pensò a ritornare solo quando gli altri si sentirono stanchi di peccare. Quanto a lui, aveva un corpo di ferro per il piacere, e lasciò l’osteria per ultimo, non meno fresco e tranquillo di quando vi era entrato. Aveva però il cuore caldo di vino. Cantava ad alta voce per le vie certe canzoni che i più audaci canticchiano di solito a bassa voce; passava davanti alle croci senza abbassare il tono e senza levarsi il cappello e colpiva a destra e a manca i ciuffi di ginestre col bastone, senza temere di ferire le anime che quel giorno riempivano le strade.

Arrivò così a un crocicchio dove si aprivano due vie che conducevano al suo villaggio. La più lunga era sotto la protezione di Dio, mentre la più breve era frequentata dai morti. Molti, percorrendola di notte, avevano sentito rumori e avevano visto cose di cui si parlava solo quando si era in tanti, e molto vicini alla pila dell’acqua santa: ma Wilherm non aveva paura che della sete e delle ragazze brutte. Prese dunque la via più breve, facendo risuonare i suoi stivali sui ciottoli del sentiero.

Era una notte senza luna né stelle; le foglie correvano via portate dal vento, i ruscelli colavano tristemente lungo i fianchi della collina, i cespugli tremavano come un uomo che ha paura; e in quel silenzio i passi di Wilherm riecheggiavano nella notte come i passi di un gigante; ma niente lo spaventava, e lui continuava a camminare.

Passando accanto al vecchio castello in rovina sentì la banderuola che gli diceva:

“Ritorna, ritorna, ritorna!”

Ma egli continuò il suo cammino. Arrivò davanti alla cascata e l’acqua mormorò:

“Non passare, non passare, non passare!” Tuttavia Wilherm posò il piede sulle pietre levigate dal torrente e lo attraversò. Quando arrivò vicino a una vecchia quercia tarlata, il vento che soffiava fra i rami ripeté:

“Resta qui, resta qui, resta qui!”

Ma Wilherm passando colpì col bastone l’albero morto e affrettò il passo.

Infine entrò nel vallone visitato dalle anime dei morti. A tre parrocchie suonò la mezzanotte. Wilherm si mise a fischiettare l’aria di Marionnik.10 Ma nel momento in cui fischiettava il quarto verso sentì il rumore di una carretta non ferrata11 e la vide venire verso di lui, coperta da un drappo mortuario.

Wilherm riconobbe la carretta della Morte. Era tirata da sei cavalli neri e guidata dall’Ankou,12 che aveva in mano una frusta di ferro e ripeteva continuamente:

“Gira via o io ti rigiro!”

Wilherm gli fece posto, senza scomporsi. “Che fai tu dunque qui, signore di Ker-Gwen?13” chiese sfrontatamente.

“Io prendo e sorprendo” gli rispose l’Ankou.

“Sei dunque un ladro e un traditore?” continuò Wilherm.

“Io sono colui che colpisce senza sguardo e senza riguardo.” “Vale a dire uno stupido e un brutale. Allora non mi stupisco più, bello mio, che tu sia dei quattro vescovadi, perché si può applicarti tutto il proverbio.14 Ma dove vai oggi, che hai tanta fretta?”

“Vado a prendere Wilherm Postik” rispose il fantasma, passando oltre.

L’allegro gaudente scoppiò a ridere e affrettò il passo. Come arrivò davanti alla piccola siepe di prugni selvatici che conduce al lavatoio, vide due donne bianche che stendevano i panni sui cespugli.

“Perbacco, ecco delle ragazze che non hanno paura dell’umidità della notte” disse. “Come mai siete rimaste fino a così tardi nel prato, mie piccole colombe?”

“Noi laviamo, noi asciughiamo, noi cuciamo” risposero le due donne a una voce.

“E che cosa?” domandò il giovanotto.

“Il sudario del morto che parla e cammina ancora.”

“Un morto? Perbacco! Mi direte il suo nome.”

“Wilherm Postik.”

Il giovanotto rise più forte di prima e scese per il sentiero sassoso.

Ma via via che avanzava sentiva sempre più distintamente i colpi delle lavandaie notturne sulle pietre della douez:15 e ben presto le vide battere i loro lenzuoli funebri cantando il triste ritornello:

Se un cristiano non viene a salvarci fino al Giudizio dovremo lavare. Al chiar di luna, al soffiare del vento, sotto la neve, il sudario bianco.

Quando videro l’allegro gaudente venire verso di loro, accorsero tutte con grandi grida, presentandogli i loro lenzuoli e dicendogli di torcerli per farne uscire l’acqua. “Un piccolo favore non si rifiuta agli amici” rispose allegramente Wilherm; “ma una alla volta, belle mie, un uomo ha solo due mani per torcere come per abbracciare.” Depose il bastone e prese l’estremità del lenzuolo funebre che una delle morte gli presentava, avendo però cura di torcere dalla stessa parte di lei, perché aveva appreso dai suoi vecchi che quello era il solo modo di non restare schiacciato.

Mentre il lenzuolo girava così, ecco però altre lavandaie circondare Wilherm, che riconobbe in esse sua zia e sua moglie, sua madre e le sue sorelle. E tutte gridavano:

“Mille sventure a chi lascia i suoi bruciare all’inferno! Mille sventure!”

E scuotevano le lunghe chiome, alzando in aria le loro palette bianche; e in tutte le douéz della valle, lungo tutte le siepi, sopra tutte le lande innumerevoli voci ripetevano:

“Mille sventure! Mille sventure!”

Wilherm, fuori di sé, sentì drizzarsi i capelli sulla testa; nel suo turbamento scordò la precauzione presa fino a quel momento e cominciò a torcere il lenzuolo dall’altro lato. In quello stesso istante il lenzuolo gli serrò le mani come una morsa, e il giovane cadde schiacciato dalle braccia di ferro della lavandaia.

All’alba, mentre passava presso la douéz, una fanciulla di Henvik, chiamata Fantik ar Fur, si fermò per mettere un rametto di agrifoglio nella sua brocca di latte appena munto17 e scorse Wilherm steso sulle pietre bianche. Credette che il troppo vino lo avesse fatto cadere e si avvicinò con un virgulto di giunco per svegliarlo; ma vedendo che restava immobile si impaurì e corse al villaggio per avvertire. Accorsero il curato, il campanaro e il notaio, che era il sindaco del paese; il cadavere fu sollevato e collocato su un carretto tirato da buoi; ma le candele benedette che vollero accendere si spegnevano continuamente e così tutti capirono che Wilherm Postik era ormai dannato. Per cui il suo corpo fu deposto fuori del cimitero, sotto la soglia di pietra, là dove si devono fermare i cani e i miscredenti.


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