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Il lenzuolo funebre di Marie

MARIE-JEANNE HÉLARY viveva sola da molti anni, in una casetta sul limitare della spiaggia. Pas-sava il tempo a filare sulla soglia della porta. La sua gioia più grande era vedere la bella tela che lei aveva filato, e che il tessitore del villaggio aveva tessuto, disporsi in bell’ordine sui ripiani del suo armadio. Una sera cadde malata: si mise a letto e non si alzò più. Non aveva altri vicini che i Rojou, padroni di una fattoria situata a un quarto di lega nell’interno.

La povera vecchia dovette morire sola, così come aveva vissuto.

Il giorno dopo il fattore Gonéri Rojou, che era andato a prendere alghe sulla spiaggia, si stupì di veder chiusa la porta di Marie-Jeanne.

“Forse” pensò “sarà andata in pellegrinaggio.”

E tornando a casa riferì la cosa a sua moglie.

Passarono così due giorni.

Il terzo giorno la fattoressa Rojou disse al suo uomo:

“Vado a fare un giro dalle parti di Marie-Jeanne, per vedere se è tornata.”

Quando arrivò alla casa della vecchia trovò la porta ancora chiusa. Le venne l’idea di guardare dalla finestra. E vide allora una cosa molto triste: la metà del corpo di Marie-Jeanne pendeva fuori dal letto e la sua testa poggiava sul banc-tossel1.

La moglie di Rojou corse senza fiato alla fattoria.

“Presto, prendi una leva” disse ansando al marito “e seguimi.” La leva serviva ad abbattere la porta della casa. L’odore dì morte era soffocante, la carne della vecchia cadeva già in decomposizione. Tuttavia Rojou e sua moglie la tolsero dal letto e la stesero sul tavolo.

“Comunque, adesso la seppelliamo” disse l’uomo. “Vedi se trovi nell’armadio qualche pezzo di tela pulita, perché le lenzuola del letto sono sudice e quasi a brandelli.” La fattoressa aprì l’armadio, e restò meravigliata: i ripiani erano pieni di tela tutta nuova, profumata di lavanda, bianca come la neve e fine al tocco come seta.

“Oh, che bell’armadiata!” esclamò la donna. E il maligno le suggerì subito all’orecchio una cattiva azione.

Sapete certamente quanto le massaie amino la bella biancheria e come si inorgogliscano, a ogni bucato, nel sentirla schioccare al vento, sull’erba dei prati, e poi nel vederla disporsi in alte pile ordinate sui ripiani degli armadi di quercia. Il sogno della fattoressa Rojou era stato sempre di poter passare le sue giornate, come la vecchia Marie-Jeanne, a filare il fine lino, per vederlo poi trasformarsi in fine tela. Ma la poveretta, ahimè!, aveva troppo da fare in casa sua, col marito e i quattro figli e le bestie che bisogna curare come i cristiani. Da dodici anni ch’era sposata il suo filatorio oziava in un angolo della cucina, e quanto alla tela, in casa sua non c’erano che tele di ragno.

Dunque il maligno le disse all’orecchio:

“Massaia Rojou, sei qui sola con tuo marito nella casa della defunta. Nessuno ancora nei dintorni sa che la vecchia è mor-ta. E nessuno sa di preciso che cosa c’è chiuso in quell’armadio. Chi vuoi che si sorprenda che l’abbiate trovato vuoto! Non vi sarà nessun erede a reclamare, poiché Marie-Jeanne Hélary viveva sola e raccontava lei stessa di aver perduto tutti i parenti. Quel ch’essa lascia andrà in malora, diventerà preda dello stato, del governo, che è già da solo più ricco di tutti e che non ha mai fatto nulla per la povera Marie-Jeanne Hélary. Tu invece ti sei sempre mostrata servizievole con lei e stai appunto preparandoti a renderle gli estremi uffizi. Non è forse giusto che tu ti prenda la tua parte di ciò che resta nella sua casa e di cui ormai lei non può più servirsi?” Così parlava il diavolo, l’eterno tentatore. Lénan Rojou era una buona donna, ma era figlia di sua madre, e sua madre era figlia d’Eva. Così ascoltò il consiglio del demonio.

“Eh, eh, Gonéri,” disse “non sono i lenzuoli che mancano. Qui ce n’è abbastanza da seppellire cento cadaveri. Guarda un po’!”

Come sua moglie, Gonéri Rojou rimase estasiato. “Se tu volessi,” riprese lei “potremmo tenerci tutta questa tela salvo quella che occorre per fare un lenzuolo funebre alla vecchia Marie-Jeanne.”

“Dopo tutto,” osservò Rojou “perché altri e non noi?” “Qui ce n’è abbastanza per fare sei dozzine di bei lenzuoli, altrettante tovaglie per avvolgervi il pane,2 e almeno ottanta camicie da uomo, da donna e da ragazzo. Non credi, Gonéri?” “Sì, in fede mia!… Ascolta, tu resti qui a vegliare la vecchia.

Io sloggio le pezze di tela e le trasporto a casa nostra. Nessuno vedrà né sentirà niente. Te ne lascerò solo una e mentre io viaggio tu ci fai il lenzuolo funebre.” E Gonéri Rojou partì, carico come un asino. E ancora non sentiva il peso del proprio peccato, che avrebbe dovuto gravargli sulle spalle più di tutto il resto. Dopo mezz’ora era di ritorno.

Il cadavere di Marie-Jeanne Hélary aspettava sempre il suo lenzuolo funebre. Lénan Rojou, in ginocchio su una pezza di tela dispiegata a terra, teneva un paio di forbici nella mano destra, ma non si decideva mai a usarle. “Damen!” esclamò Gonéri dalla soglia. “Non mi sembra che tu abbia fatto molti progressi nel lavoro.” “Ma vedi!” rispose Lénan “sarebbe proprio un peccato tagliare una tela così bianca per un povero corpo che sta già imputridendo. Non pensi che per la vecchia Marie-Jeanne sarebbe lo stesso dormire da morta nei lenzuoli in cui dormiva da viva?”

“Forse hai ragione” fece Rojou, il quale, come molti mariti impegnati nei duri lavori dei campi, lasciava alla moglie la cura di pensare per tutti e due.

Convennero dunque che non avrebbero tagliato la pezza di tela nuova e avrebbero sepolto la vecchia nei suoi vecchi lenzuoli.

E così fu fatto.

La sera stessa suonò la campana a morto alla chiesa del villaggio. Un falegname portò la bara: Marie-Jeanne Hélary vi fu deposta mezzo nuda e in gran fretta, perché puzzava terribilmente. Gonéri Rojou si era assunto tutte le spese di funerale e sepoltura: e in tutto il paese lodarono la sua generosità. La domenica dopo il curato li elogiò dal pulpito, lui e la moglie, additandoli entrambi come esempio ai parrocchiani, come perfetti figli di Gesù Cristo.

I coniugi non si mostrarono per nulla insuperbiti da questi elogi. Per il che tutti li ammirarono ancora di più. In fondo, non avevano la coscienza tranquilla. Lénan, da parte sua, faceva tacere facilmente i suoi rimorsi. Le bastava contemplare la bella tela bianca di Marie-Jeanne Hélary, disposta in ordine nel suo armadio, che fino allora era stato così vuoto. Ma per Gonéri Rojou non era la stessa cosa. il pover’uomo non riusciva più a lavorare di gusto, mangiava con la punta dei denti e di notte dormiva con un occhio solo.

Una notte che stava così mezzo assopito si drizzò d’un tratto a sedere sul letto. Qualcuno bussava alla porta. “Chi è?” domandò.

Nessuna risposta.

Gonéri pensò che si trattasse di qualche ubriaco attardatosi per strada, benché non ci fosse poi un gran passaggio per l’aia della sua fattoria.

“Chi è?” ripeté una seconda volta e poi una terza.

Sempre silenzio.

“Che io sia dannato!” esclamò il fattore, con voce tanto più furiosa in quanto soffriva nell’anima, “vi farò ben confessare il vostro nome, che veniate da parte di Dio o da parte del diavolo.”

Stava per alzarsi, ma non appena affacciò il capo fuori dalle cortine del letto sentì drizzarsi i capelli dallo spavento. La porta di casa era spalancata, eppure era ben sicuro di aver tirato il catenaccio prima di coricarsi. E questo non era ancora niente. La tovaglia che avvolgeva il pane sulla tavola della cucina si apriva, si apriva. Sembrava un lenzuolo respinto a poco a poco dai piedi di un dormiente che avesse troppo caldo. Poi sulla tovaglia si disegnò la forma rigida di un cadavere. La pagnotta appena intaccata serviva di cuscino alla testa. E questa testa, Gonéri Rojou la vide sollevarsi lentamente. Richiuse gli occhi, ben deciso a non vedere nient’altro.

Ma dimenticò di tapparsi le orecchie.

E non poté impedirsi di udire un passettino minuto di vecchia che trotterellava, trotterellava per tutta la casa. Poi fu il rumore che fanno aprendosi le ante male oliate di un armadio.

E poi fu una voce fioca e tremolante che ridacchiava, imitando per beffa l’esclamazione uscita una volta dalle labbra di Lénan davanti alla tela di Marie-Jeanne Hélary:

“Oh, che bell’armadiata! che bell’armadiata!” Gonéri Rojou socchiuse le palpebre. Provava un bisogno di vedere che era più forte della sua volontà d’uomo. La luce della luna, entrando obliquamente dalla porta, ritagliava sul pavimento di terra battuta un quadrato bianco che era in tutto simile a una tela stesa in lungo e in largo. A una delle estremità era inginocchiata una vecchia, che teneva un paio di forbici nella mano destra. Gonéri la riconobbe dal profilo: era Marie-Jeanne, la morta!

“Eppure è un peccato,” essa diceva continuando a imitare il tono di Lénan “eppure è un peccato tagliare una tela così bianca per un povero corpo che sta già imputridendo… Per la vecchia Marie-Jeanne sarebbe lo stesso dormire da morta nei lenzuoli in cui dormiva da viva…”

Gonéri Rojou sentì un sudore freddo scorrergli per tutto il corpo.

La vecchia fece una pausa, poi riprese:

“Ebbene, no! no! no! Voglio essere sepolta nel lino che ho filato!”

E per tre volte ripeté con insistenza:

“Mi occorre il mio lenzuolo! mi occorre il mio lenzuolo! mi occorre il mio lenzuolo!”

Detto questo sparì.

Per amore di sua moglie Gonéri Rojou non l’aveva svegliata.

All’alba lei si svegliò da sola e Gonéri le disse:

“Donna, sai tu qual è il primo lavoro che dovrai fare appena alzata?”

“Sì, marito mio, andrò a fare qualche bracciata di giunchi verdi per le bestie, poi laverò la faccia ai bambini.” “No,” fece Gonéri “ti metterai tutta in ordine e cercherai di trovarti in chiesa nel momento in cui il signor curato riceve le confessioni: e gli racconterai in confessione il nostro peccato.” “Ma pensa un po’, Gonéri! Di che ti impicci, di grazia?” “E non è tutto” proseguì l’uomo. “Io ti seguirò portando sulle spalle la tela rubata che è là nell’armadio. Non dimenticarti di domandare al curato che cosa ne dobbiamo fare.” “Che cosa ne dobbiamo fare?!” replicò la donna, incollerita. “Se c’è qualcuno che deve saperlo, quella sono io, e non il curato! E tu non ti occupare più di quella tela!” “Ho le mie buone ragioni per occuparmene” disse Gonéri.

“Ne va della tua pace e della mia, in questo mondo e nell’altro.”

E raccontò alla moglie la sua visione della notte. Lénan allora non fece più obiezioni. Collocò essa stessa il pacco della tela sulle spalle del marito e lo precedette al villaggio. Arrivata in chiesa, si inginocchiò nel confessionale del curato, mentre Gonéri col suo carico la aspettava vicino al fonte battesimale.

Quando Lénan gli ebbe confessato tutto, il curato le disse:

“Torna questa notte, figlia mia, accompagnata dal tuo uomo.

Quanto alla tela, la deporrete in sacrestia, dove io la esorcizzerò. Prima di sera spero di averne fatto uscire l’anima funesta che vi si è annidata e che non è altro che il vostro peccato.” Lénan e Gonéri se ne tornarono alla fattoria, ma la sera di quel giorno li rivide in preghiera, nella chiesa, col curato.

Quando suonò la mezzanotte il curato fece segno a Lénan:

“Ecco l’ora” le disse. “Prendi in sacrestia le pezze di tela:

non stupirti di sentirle leggere come una piuma e vai a stenderle una per una sulla tomba ancora fresca di Marie-Jeanne. Soprattutto abbi cura di aspettare che una sia scomparsa per stendere l’altra. Noi qui nel frattempo pregheremo, tuo marito e io. Quando tutto sarà finito verrai a renderci conto e ci dirai che cosa avrai visto.”

Lénan Rojou non era molto tranquilla mentre a mezza-notte andava a compiere questa restituzione nel cimitero della parrocchia.

E neanche Gonéri Rojou si sentiva tranquillo nel coro della chiesa, mentre pregava accanto al curato per il felice ritorno della moglie.

Si sentì sollevato da un gran peso vedendola ricomparire sulla porta della sacrestia, sana e salva.

Tuttavia la donna tremava in tutte le membra.

“Ebbene, Lénan?” chiese il curato.

“Oh,” rispose lei “ho visto cose che nessun altro vedrà.”

“Spiegati, Lénan.”

“Dapprima, signor curato, ho steso sulla tomba la prima pezza di tela. Subito si è levato un vento e la pezza di tela è volata via gemendo. Ho steso la seconda. Lo stesso vento si è levato di nuovo e la seconda pezza di tela è volata via come la prima, ma senza gemere. Ho steso la terza. Questa ha fatto un fruscio leggero come il respiro della primavera attraverso le foglie novelle. Poi si è gonfiata come una vela e se n’è andata lontano, lungo la via di San Giacomo3, in fondo al cielo. Allora la terra della tomba si è aperta: e ho visto Marie-Jeanne Hélary allungata, tutta nuda, nel vano nero della fossa. Ho spiegato la quarta pezza di tela. Invece di volar via, la tela è scesa nella terra e la morta vi si è avvolta dentro, facendo: “Brr! Brr!” come chi ha molto freddo. Restava la quinta pezza, l’ultima. Stavo per aprirla e stenderla quando quattro angeli scesi dal paradiso me l’hanno tolta di mano. Ho sentito una voce melodiosa che diceva “Siete perdonati!” E questo è tutto.”

“Tanto basta” sentenziò il curato. “Tuo marito e tu, Lénan Rojou, potete andare in pace. Ricordatevi solo che, se è male rubare ai vivi, è odioso rubare ai morti. Quanto a Marie-Jeanne Hélary, state sicuri che non vi tormenterà più.”


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