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L’elefante amato dal Papa seppellito sotto al Vaticano

Una scoperta degli anni ’80 riporta alla luce una vecchia storia dei primi del 1500, quando alla corte papalina venne portato un elefante albino, dono del re del Portogallo

di Dario Ronzoni

L’elefante Annone, disegno attribuito a Giulio Romano

Tutto comincia in un pomeriggio del 1962. Durante gli scavi per alcuni lavori di ammodernamento delle caldaie nei Giardini del Belvedere, in Vaticano, alcuni operai ritrovarono un osso di animale. Era un dente enorme. Accanto c’erano quattro frammenti di una mascella. Si pensò – all’epoca era di moda – di aver trovato un dinosauro.

La realtà era diversa: i resti non erano fossilizzati, e bastò un esame veloce del custode della Biblioteca del Vaticano per stabilire che si trattava di un animale più recente: un elefante. Gli entusiasmi si raffreddarono e – cosa in sé piuttosto bizzarra – non se ne parlò più. Le ossa vennero messe da parte, tutti si dimenticarono dello strano ritrovamento e, per quasi trent’anni, come avesse fatto il pachiderma a finire sepolto in un giardino del Vaticano rimase un mistero.

Si dovette aspettare la fine degli anni ’80, quando il professor Silvio Bedini, che a dispetto del nome era americano e professore allo Smithsonian Institute di New York, decise di esplorare i cunicoli dei sotterranei del Vaticano. Vedere il luogo del ritrovamento dell’elefante scatenò la sua curiosità: cominciò subito le ricerche e qualche anno dopopubblicò un libro in cui risolveva il mistero. L’elefante seppellito sotto al Vaticano altri non era che il celebre Annone, uno degli animali preferiti di Papa Leone X, avuto in regalo dal sovrano portoghese e diventato, suo malgrado, il simbolo della corruzione, della vitalità e del potere della corte papalina all’inizio del 1500.

Raccontare la (breve) storia di Annone significa significa dissotterrare un mondo antico, in cui le diplomazie regolavano gli equilibri tra potenze attraverso ambasciate e regali, ma soprattutto un’epoca in cui la vera ricchezza stava nel mercato delle spezie. Il Portogallo puntava proprio su questo: aveva già scoperto l’America ma preferiva assicurarsi il controllo della via dell’est, da dove passavano i traffici sicuri. Il re portoghese Manuele I aveva bisogno di un ampio consenso alle sue mire e non era facile: contro di lui si erano schierati i mamelucchi egiziani e i turchi, anche loro interessati al commercio delle spezie. Per dissuadere la Chiesa vevano minacciato di distruggere le parti cristiane di Gerusalemme.

Raccontare la (breve) storia di Annone significa significa dissotterrare un mondo antico, in cui le diplomazie regolavano gli equilibri tra potenze attraverso ambasciate e regali

Che fare? Appena Giovanni di Lorenzo de’ Medici, alias Leone X venne nominato Papa, Manuele I, come segno di rispetto e sottomissione all’autorità della Chiesa inviò, nel 1514, una ricca serie di doni. Era una spedizione di 140 uomini, con in più un tesoro significativo: tessuti, broccati, oggetti in oro e gioielli. E poi, come segno della grandezza globale del Portogallo, anche animali esotici bizzarri: scimmie, pappagalli, leopardi, un cavallo persiano. E poi un elefante albino di quattro anni: Annone.

Non è ben chiaro come Annone fosse arrivato in Portogallo. Forse era stato regalato a Manuele I dal re di Cocina, in India, base militare portoghese e centro nevralgico del commercio delle spezie. Oppure, raccontano altre versioni, era stato comprato dal re attraverso la mediazione del suo rappresentanto. In ogni caso, fu scelto per la sua originalità e subito inviato a stupire la corte del Papa.

Il viaggio venne fatto in nave. Attraversò il Mediterraneo, passò per Alicante e Maiorca e finì a Porto Ercole. L’ambasciata, guidata da Tristao da Cunha, era fastosa: a ogni villaggio si univano paesani e curiosi, meravigliati dall’aspetto degli animali esotici e, in particolare, dall’elefante. I notabili locali chiedevano – ed erano disposti a pagare – di passare per le loro tenute. Il corteo fu costretto a dormire in una piazza per proteggere Annone perché la stalla, visto l’interesse suscitato, non sarebbe stata sicura.

Quando arrivò a Roma, fu il trionfo: l’elefante passò, tra i festeggiamenti, per i vicoli delle strade. Era adornato di tessuti eleganti (“vesti ricamate di finissime perle”, recitano le cronache) e sul dorso aveva la riproduzione di un castello d’argento. La sua destinazione era Castel Sant’Angelo e quando entrò, al cospetto del Papa, danzò, suonò il suo barrito e si inchinò tre volte. Poi, con la proboscide, aspirò dell’acqua da un secchio e la spruzzò addosso a tutti, Papa compreso. La sua benedizione. Leone X era felice.

Fin da subito il pontefice si affezionò ad Annone. “Faceva molti atti marvigliosi”, come raccontano, “quasi fosse dotato di intelletto”. Gli costruì una stalla apposita nei giardini del Belvedere, lo portò in alcune processioni e lo esibì volentieri al pubblico,provocando anche vari incidenti. In un caso il poeta Baraballo di Gaeta (non altrimenti ricordato se non per questo episodio) gli montò in groppa, sostenendo, mentre lo cavalcava, di essere in grado di dire versi all’altezza del Petrarca. Annone, spaventato dai tamburi e dalle cannonate della processione, lo disarcionò. Il gesto, come era ovvio, fu interpretato come punizione per la sua arroganza. In un altro caso, invece, la folla era così numerosa che, ostacolando la strada del pachiderma, molti finirono schiacciati.

Nella sua lettera di ringraziamento al sovrano portoghese il Papa spiegò che “l’elefante risveglia ricordi provenienti da un passato antico, quando la vista di animali del genere era frequente in questa città”, e il riferimento è chiaro, cioè la spedizione del cartaginese Annibale. Insieme ad Annone era tornato il sogno di una rinnovata grandezza, quella della Roma imperiale.

L’elefante era il segno del potere del Papa: la sua cura era stata affidata a Giovanni Battista Branconio, orafo dell’Aquila che in gioventù era riuscito a entrare nella corte Papale e a scalare le gerarchie del Vaticano, fino a diventare cortigiano. Il salto di qualità avvenne con l’elezione di Leone X, alla quale aveva lavorato senza sosta, tessendo alleanze e accordi. Venne ricompensato con varie commende, incarichi e il prestigioso titolo di “cameriere segreto”. Oltre al compito, come è ovvio, di curare l’animale.

Oltre a lui, però, la custodia di Annone era riservata ai “favoriti” del Papa. Essere vicini all’elefante era un segno di prestigio. La fortuna toccò, ad esempio, a Raffaello Sanzio– che lo dovette anche riprodurre, dipinto, dopo la morte (opera che non si è conservata). E poi anche al poeta Pietro Aretino, che ne fece argomento della sua commedia satirica “Le ultime volontà e testamento di Annone, l’elefante”, in cui raccontava i vizi della gerarchia vaticana, dei cardinali e dei nobili. Compreso il Papa.

La vita romana di Annone durò poco. Nel febbraio del 1516 si ammalò (non è chiaro di cosa) e fu curato con un preparato a base d’oro, che con ogni probabilità fu più letale della malattia stessa. Quando morì, il 16 giugno 1516, Leone X era al suo fianco.

Giovanni Battista Branconio e Raffaello Sanzio, dipinto di Raffaello Sanzio

Su cosa avvenne dopo, non c’è chiarezza. Di sicuro, come testimoniano le ricerche, fu seppellito. Altri sostengono che, come per il corpo di un santo, alcune parti dell’elefante furono inviate a vescovi e cardinali d’Europa, perché le custodissero. La presenza di Annone a Roma, e soprattutto l’affetto nutrito dal Papa nei suoi confronti, erano già diventati leggendari. L’impressione nei contemporanei si riversa sui posteri, provocando indignazione negli ambienti filo-luterani, già in procinto di commettere la loro scissione dalla Chiesa, e confondendo gli storici. Guicciardini nella sua Istoria parlerà di due elefanti, anziché di uno. Poi, per i soliti accidenti della storia, verrà dimenticato, fino a quando le zappe di alcuni operai non verrano a ripristinare la memoria del vecchio animale.


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