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Jean Seberg: la tragica fine della Diva perseguitata dall’FBI

di ROBERTO COCCHIS

Hollywood e lo Star System in generale rappresentano uno strano mostro a due facce: da un lato una fabbrica di sogni capaci di sopravvivere a lungo a chiunque abbia contribuito a dare loro forma, da un altro un ingranaggio senza pietà, capace di triturare e disintegrare chiunque ne rimanga invischiato senza avere poi la capacità di tirarsene fuori al momento giusto.

A partire dagli anni ’80, libri come “Hollywood, Babilonia” di Kenneth Anger e “Il sofà del produttore” di Selwyn Ford hanno riccamente illustrato, attraverso una vastissima casistica, il concetto di distruzione o autodistruzione dei divi dello spettacolo. Se si volessero trattare tutti in un solo articolo, pure redatto in termini generici, ne verrebbe fuori un’enciclopedia. Occorre dunque, per affrontare il tema, selezionare dei casi particolari, in qualche modo speciali, che spicchino dalla media degli altri.

Uno di questi è sicuramente quello di Jean Seberg

Jean Seberg è una strana diva. Una che ha fatto diversi film da protagonista e diversi film di successo, ma tutti concentrati in una breve stagione a inizio carriera, quindi la sua fama di star del cinema resta piuttosto limitata.

In più, è una che, già da subito, preferisce distinguersi dalle altre, anziché battere sentieri sicuri. Di origine tedesca e scandinava, potrebbe aggiungersi alla categoria delle “bionde mozzafiato” del genere di Marilyn Monroe, Carroll Baker, Kim Novak o Virna Lisi, ma non lo fa. Il suo segno distintivo sarà sempre quello dei capelli tagliati corti, una decisa presa di distanza dal cliché. Nell’unico film importante in cui li lascia liberi di crescere (il disperato e dolcissimo “Lilith, la dea dell’amore”, dimenticato capolavoro del grande Robert Rossen datato 1964, in cui gareggia in bravura con due ragazzi destinati a brillanti carriere, Warren Beatty e Peter Fonda), appare di una bellezza da far perdere il lume della ragione, ma questa occasione resterà pressoché unica.

In questo, c’entrano forse le circostanze in cui muove i suoi primi passi nello spettacolo. Nata a Marshalltown, in Iowa, nella tranquilla famiglia borghese di un farmacista e una maestra con quattro figli, il 13 novembre 1938, viene scoperta dal regista Otto Preminger attraverso una vera lotteria, ossia tra le 180.000 adolescenti che nel 1955 inviarono la propria foto alle selezioni per il cast di un nuovo film sulla figura di Giovanna d’Arco. Film di cui Jean sarà protagonista e che sarà soprattutto un disastro (lei stessa ricorderà successivamente: “Prima mi bruciarono sul rogo in scena e poi mi bruciarono sul rogo i critici”) ma convincerà ugualmente Preminger che la ragazza ha la stoffa per fare l’attrice sul serio. Infatti, con un certo coraggio, anche se la produzione gli offre la possibilità di scritturare la diva giovane del momento, la splendida Audrey Hepburn, Preminger preferisce imporre Jean come protagonista del suo film successivo, “Buongiorno, tristezza”.

Questo sarà uno dei maggiori successi di cassetta del decennio. Oggi appare piuttosto datato ma, ai tempi, la vicenda (tratta da un romanzo di Françoise Sagan, che lo aveva pubblicato a 19 anni nel 1954, ottenendo il plauso della critica, la messa all’Indice da parte del Vaticano e un successo planetario) fece davvero scalpore: una storia altoborghese al centro della quale c’è una ragazzina che non riesce a liberarsi da un inconscio legame edipico con il padre che l’ha cresciuta da solo dopo la morte prematura della madre e, per questo, ostacola il suo legame con una nuova compagna affascinante e brillante, seminando tra i due tanta di quella zizzania che a un certo punto la compagna scappa via dopo una violenta discussione e, durante la fuga, muore in un incidente automobilistico, lasciando padre e figlia oppressi dal rimorso.

Il film è americano, ma il successo è soprattutto francese, ragione per cui (dopo un altro film di successo, “Il ruggito del topo”, un’esilarante commedia in cui però la sua prestazione è offuscata dal confronto con il vulcanico protagonista, Peter Sellers) Jean viene presto chiamata a lavorare in Francia, dove il cinema sta affrontando una importante svolta. Alcuni ragazzi, giovani e intraprendenti, provenienti dall’esperienza di una rivista (“Cahiers du cinéma”) in cui hanno letteralmente vivisezionato criticamente tutto il cinema mondiale, hanno deciso di passare dietro la macchina da presa per provare ad attuare quelle che sono le loro idee rivoluzionarie sul cinema moderno: è nata la “Nouvelle Vague”, la “nuova ondata”, che propone film a basso budget girati in ambientazioni quotidiane anziché tra fastosi set, con attori che sembrano persone comuni e non divi, e narrano vicende che potrebbero appartenere alla vita di chiunque. I nomi sono quelli di Jean-Luc Godard, Claude Chabrol, Alain Resnais, François Truffaut e altri, tutti destinati a lasciare un segno importantissimo nella storia della Settima Arte.

Jean viene ingaggiata proprio per quello che successivamente sarà considerato il “manifesto” della Nouvelle Vague, “Fino all’ultimo respiro” di Godard, del 1960. È la storia della singolare odissea di un piccolo balordo (interpretato da uno strepitoso Jean-Paul Belmondo) costretto a fuggire da Marsiglia a Parigi dopo aver ucciso accidentalmente un poliziotto. Accanto a lui c’è una studentessa americana (appunto Jean Seberg) che cerca inutilmente di convincerlo a costituirsi, mentre lui vorrebbe espatriare in Italia. Sembrerebbe una storia noir a tinte fosche, ma il tono è leggero, quasi frivolo, fino alla conclusione in cui lui viene ucciso per strada dagli agenti, ma sembra quasi uno scherzo, e l’ultima immagine mostra il volto di Jean che ha l’aria di non aver capito nulla.

Una scena dal film:

Questo film è stato poi rifatto in un remake di successo, “All’ultimo respiro” (molto inferiore all’originale, ma non disprezzabile) nel 1983 per la regia di Jim McBride, con intepreti principali Richard Gere e Valérie Kaprisky.

Tutti lodano la prestazione di Jean (Truffaut la definirà “la migliore attrice sul suolo europeo”) ma lei ci tiene a precisare che il suo personaggio non le è piaciuto per niente, è distante anni luce da quello che sente di essere come persona.

È rimasta a vivere in Francia, anche perché si è innamorata di uno dei tanti uomini che segneranno, nel bene e soprattutto nel male, la sua vita privata. Si chiama François Moreuil, è un giovane avvocato che però coltiva ambizioni di cineasta e la coinvolge nei suoi progetti cinematografici. Che si rivelano fallimentari, mentre lui si rivela a sua volta un violento che la maltratta in tutti i modi e, durante la lavorazione dell’unico film che gireranno insieme, “La récréation”, le fa passare l’inferno, svillaneggiandola ogni giorno davanti alla troupe.

Fortunatamente, a tenerla su, ci sono gli altri film che lei riesce a girare tra Francia e USA, il migliore dei quali è proprio quel “Lilith” citato all’inizio, mentre gli altri sono sempre meno memorabili, anche se si deve registrare, nel 1965, il buon successo di “Da un momento all’altro”, un melodramma a tinte noir in cui fa (benissimo) la parte della fatalona. E, soprattutto, c’è la decisione di mollare l’isterico Moreuil, dopo due anni di matrimonio, già nello stesso 1960. Nella sua vita, infatti, è entrato un altro uomo, il più importante.

Lui è un ex aviatore ed ex diplomatico, nato nel 1914 a Vilnius in Lituania (a quel tempo appartenente all’Impero Russo) con il nome di Roman Kacew, ma da tempo naturalizzato francese come Romain Gary e scrittore di un tale successo da riuscire a vincere il più prestigioso premio nazionale (il Goncourt) sia con il suo nome, sia con lo pseudonimo di Émile Ajar (il primo nel 1956 e il secondo nel 1975: la reale identità di Émile Ajar restò un mistero finché fu svelata da Gary stesso, in un libro postumo).

La differenza di età di 24 anni non li spaventa, né rappresenta un problema il fatto che Gary sia sposato con una famosa intellettuale inglese, Lesley Blanch (che, in un libro successivo ai fatti, definirà senza mezzi termini Jean come superficiale, presuntuosa e tremendamente ignorante: peraltro, si tratta del giudizio di una ex moglie abbandonata…). Nell’ottobre del 1962, appena Gary riesce a ottenere il divorzio, i due si sposano; ma, intanto, nel luglio dello stesso 1962, hanno avuto un figlio, Alexandre Diego. Per non complicare la causa di divorzio di Gary facendo trapelare la notizia, hanno nascosto l’evento anche a parenti e amici, e Jean se n’è andata a partorire a Barcellona, in Spagna. Come ex reduce di guerra ed ex diplomatico, Gary ha abbastanza amici influenti da far registrare all’anagrafe, successivamente, la nascita del figlio con la data del 26 ottobre 1963.

La vita coniugale di Jean con Romain Gary non sarà infelice, anche se lei lo tradirà e infine lo lascerà, Gary le resterà legato fino all’ultimo

I due sono uniti da una comunanza di vedute soprattutto ideologiche e politiche, credono che il mondo debba cambiare, sono disposti a sostenere chiunque si proponga come portatore di istanze rivoluzionarie, si impegnano in prima persona, attraverso il sostegno economico e la partecipazione a iniziative pubbliche di sensibilizzazione popolare, in tutte le cause che considerano degne.

Siamo, non dimentichiamolo, nel tempo della Guerra Fredda, quando i governi occidentali accettano la democrazia fino a un certo punto, ma non ci pensano due volte a scatenare la repressione poliziesca appena qualcuno comincia a uscire un po’ troppo dal seminato. E, soprattutto, ogni Paese mantiene, con organizzazione e budget che sfuggono a qualsiasi controllo da parte di parlamenti e governi, dei servizi segreti pressoché onnipotenti, che sanno tutto di tutti e possono distruggere carriere e reputazioni in men che non si dica.

Infatti, l’impegno politico costa caro a Jean, che si vede sempre più emarginata dalle produzioni hollywoodiane e francesi di primo piano ed è costretta, per lavorare, ad accettare quello che capita, perfino film italiani di bassissimo livello, sebbene di successo, ad esempio “Bianchi cavalli d’agosto” (1975), un polpettone lacrimevole di cui è protagonista l’icona trash Renato Cestiè, specializzato nel ruolo di bambino che muore prematuramente dopo essere stato maltrattato o trascurato dai genitori, in un filone cinematografico caratteristico del periodo. Così come, in USA, nel 1970 Jean sarà scritturata in un ruolo secondario in un altro polpettone, ma di genere catastrofistico (altro filone tipico del gusto del tempo), “Airport” (che sarà definito “il peggior ciarpame mai girato” dal suo stesso protagonista, Burt Lancaster, e poi parodiato in modo esilarante dal capolavoro comico-demenziale “L’aereo più pazzo del mondo”).

Ma i suoi problemi non riguardano solo gli sviluppi di carriera. Tutto sommato, tra lei e Gary, la situazione economica è florida e potrebbero benissimo godersi la vita tra le isole greche e quelle spagnole che prediligono per soggiornare. Il fatto è che, da qualche parte a Washington, qualcuno ha deciso che Jean Seberg e Romain Gary devono pagare caro il loro impegno politico.

E infatti lo pagheranno caro

Dal 1956 al 1971, la polizia federale americana, l’FBI, ha portato avanti un programma, chiamato Cointelpro (da Counter Intelligence Program) consistente nel fabbricare falsi dossier con l’obiettivo di screditare le personalità giudicate troppo scomode. Questo programma, sul quale ancor oggi si hanno solo informazioni frammentarie, ricorreva all’infiltrazione di spie e agenti provocatori in qualunque organizzazione considerata sovversiva (comprese quelle femministe e quelle per il riconoscimento dei diritti dei neri) e non disdegnava di avvalersi della collaborazione di organizzazioni criminali di estrema destra, tranne il Ku Klux Klan, che era invece considerato troppo pericoloso e tenuto sotto controllo.

In particolare, il Cointelpro si accanì contro il movimento delle Black Panther, un’organizzazione di afroamericani che intendeva darsi la forma di un partito politico per rappresentare i diritti delle minoranze in Parlamento e metteva in atto iniziative di sostegno diretto alle fasce più povere delle popolazione (ad esempio, apertura di piccoli ospedali mobili o distribuzione diretta di cibo), ma veniva accusata di sovvenzionare le proprie attività tramite lo spaccio della droga e il racket dei commercianti. Non si sa quanto queste accuse siano vere, ma è sicuro che molti dei fondi a disposizione delle Black Panther proveniva da donazioni di artisti e intellettuali.

Jean Seberg e Romain Gary, in questo senso, sono tra i più attivi. L’FBI tiene già sotto controllo Jean, perché questa si era precedentemente impegnata, con generose donazioni e dichiarazioni pubbliche, a sostegno di altre organizzazioni, sia di afroamericani sia di nativi americani. Per diversi anni, l’attrice viene sottoposta a un ininterrotto stalking da parte di agenti provocatori che la raggiungono dovunque si trasferisca, le entrano anche in casa e le rivolgono ogni sorta di intimidazioni, mentre la polizia non interviene a seguito delle sue denunce, e le sue telefonate e la sua corrispondenza sono sottoposte a una sistematica intercettazione.

Il culmine della persecuzione si raggiunge nel 1970, quando il diffusissimo settimanale “Newsweek” si vede arrivare un falso dossier contenente rivelazioni scabrose sul rapporto che lega Jean a Raymond Hewitt, un insegnante di colore che era uno dei leader delle Black Panther. Si dice apertamente che il figlio che l’attrice sta per partorire è frutto di una relazione tra i due, che lui è il suo toyboy ed è questa la vera ragione delle donazioni, mentre Gary fa la parte del cornuto contento.

Lo scoop finisce pubblicato senza che nessuno si sprechi a verificare la verosimiglianza del contenuto

Per la rabbia, dopo aver letto l’articolo, Jean ha una grave crisi ed entra in travaglio prematuro: dopo alcune ore di sofferenza, dà alla luce una bambina sana ma asfittica e troppo piccola (pesa 1,8 kg e a quel tempo le tecniche per il trattamento dei prematuri non erano efficienti come adesso), chiamata Nina Hart Gary, che sopravvive solo 3 giorni. Prima di seppellire la figlia nella tomba di famiglia, Jean convocherà una conferenza stampa e ne mostrerà il corpicino bianchissimo ai giornalisti, dando la prova che quelle di “Newsweek” sono solo invenzioni. In seguito, “Newsweek” sarà condannato per diffamazione e a pagare un risarcimento a Jean e Gary, per una cifra molto inferiore a quella che avevano chiesto.

Della vicenda, emergerà qualche tempo dopo un’ulteriore retroscena. Sebbene Gary si sia sempre dichiarato padre della bambina morta, questa non è sua figlia. Tra il 1969 e il 1970, Jean era in Messico per girare uno dei B-movies in cui riusciva ancora a farsi scritturare, un western intitolato “Macho Callahan”. Qui ha conosciuto uno studente appartenente a un’organizzazione rivoluzionaria, Carlos Ornelas Navarra, che è diventato il suo amante. Nina Hart è stata concepita proprio durante questa relazione, che segna il capolinea della sua storia con Gary, dal quale divorzia presto, anche se i due resteranno sempre amici.

Nel 1972, Jean si risposa con un giovane attore che intende diventare regista, ma avrà scarso successo, Dennis Berry, figlio del regista John Berry che, al tempo del maccarthismo, era stato costretto a lasciare gli Usa per la Francia per continuare a lavorare. Ma neanche questa storia funziona, per tante ragioni, non ultima quella che Jean, dopo il trauma della nascita e la perdita della figlia, è diventata un’accanita consumatrice di farmaci, specie di psicofarmaci, nel tentativo di combattere la depressione che non la lascia più.

All’inizio del 1979, arriva un altro legame, con un avventuriero algerino, Ahmed Hasni, che la convince a vendere delle proprietà immobiliari a Parigi per finanziare il suo progetto di aprire un ristorante a Barcellona. Ma il progetto non decolla, Jean ci rimette un bel po’ di soldi e Hasni si rivela un prepotente e un manesco, per cui lei se ne torna rapidamente a Parigi.

Hasni, però, la raggiunge e, in qualche modo, la convince a riprenderlo con sé. È l’estate del 1979 e la vita di Jean se ne sta andando definitivamente a scatafascio. La sera del 30 agosto i due vanno al cinema e poi si coricano insieme ma, il mattino dopo, quando Hasni si sveglia, lei non c’è più. Hasni sarà pure un profittatore ma ormai ha imparato a conoscerla, e denuncia subito la scomparsa alla polizia. Le ricerche non approdano a nulla fino all’8 settembre, quando qualcuno si fa venire l’idea di andare a controllare l’auto di Jean, una Renault, che è ferma davanti a un altro appartamento parigino dell’attrice. Jean è lì, sul sedile posteriore, avvolta in una coperta, già parzialmente decomposta. Accanto, oltre al tubetto contenente le pillole e alla bottiglia dell’acqua usata per ingerirle, c’è un biglietto indirizzato al figlio Alexandre Diego, in cui c’è scritto:

Perdonami. Non posso vivere con i miei nervi

Si è uccisa la notte stessa del 30 agosto con un’overdose di barbiturici.

Hasni rivela che, poche settimane prima, Jean aveva già cercato di saltare sotto un treno in arrivo a un passaggio a livello, senza riuscirci. L’ex marito Romain Gary accusa apertamente la persecuzione subita dall’FBI di averla resa una psicopatica e cita altri tentativi precedenti di suicidio, tutti però posteriori al 1970.

Il film francese cui Jean stava partecipando quando morì, “Commando d’assalto” (un B-movie, tanto per cambiare), sarà rigirato sostituendola con Mimsy Farmer.

Il 2 dicembre 1980, a Parigi, Romain Gary si uccide sparandosi un colpo di pistola alla testa. Lascia scritto che la sua vena creativa si è definitivamente inaridita e che la sua vita ha perso ogni significato. Precisa anche che non c’è nessun rapporto tra la sua fine e quella di Jean, anche se lei gli è mancata moltissimo.

Il figlio della coppia, Alexandre Diego, oggi vive in Spagna, gestisce una libreria e organizza eventi culturali, soprattutto dedicati alla figura e all’opera del padre.

fonte: https://www.vanillamagazine.it


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